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Perché non riesco a smettere di pensare al cibo?

fame emotiva giorgio serafini prosperi Jul 30, 2020
Breaters_Perché non riesco a smettere di pensare al cibo?

Spesso la nostra relazione col cibo è il problema di una vita, una vera e propria ossessione. Pensiamo continuamente a quanto mangiamo, a cosa mangiamo, a quanto pesiamo etc...

Siamo così presi da questo genere di pensieri, dal cercare di controllare tutto, dalla frustrazione del non riuscire a farlo che complichiamo ogni cosa, la facciamo diventare un cruccio e perdiamo di vista la semplicità.

 

Smettere di mangiare in eccesso è più semplice di quanto pensi

 

Il peso è soltanto il risultato di un certo comportamento protratto nel tempo. Non ha altro significato se non questo. Anzi, noi ingrassiamo se il nostro corpo funziona.
Se non ingrassassimo alimentandoci in eccesso, vorrebbe dire che c’è qualcosa che non va, a lungo andare addirittura moriremmo.

 

Se ci fissiamo sul peso come dato in sé perdiamo di vista il vero obiettivo

 

Il vero punto della questione è come mangiamo. Dopo e solo dopo viene il cosa mangiamo e come eventualmente correggere la nostra alimentazione. Potremmo anche chiederci “perché” mangiamo in un certo modo piuttosto che in un altro, ma rischieremmo di complicare le cose e di restare a livello di pura analisi.

Invece possiamo cambiare il nostro modo di mangiare cominciando a sviluppare consapevolezza sul modo in cui mangiamo.

Cosa ci conduce al cibo, lo sappiamo? O, meglio: come stiamo quando mettiamo in bocca il nostro primo boccone compulsivo? Quali emozioni ci attraversano? Come ci sentiamo?

Queste sono le uniche domande utili da porsi per essere in grado di rispondere diversamente all’impulso dettato dal “cibo emotivo”.

C’è un modo diverso per essere in relazione col cibo e con noi stessi quando entriamo in contatto con ciò che mangiamo:

questa possibilità è l’essenza stessa della Mindfulness applicata alla relazione col cibo che riguarda, appunto, il trovare una via gentile consapevole di integrare il desiderio di assumere cibo per attenuare le pressioni emotive che subiamo.

 

La via dell’autoregolazione 

Trovare la propria moderazione è la via dell'equilibrio col cibo:

Per chi combatte contro il cibo in eccesso, la moderazione sembra essere una chimera, un desiderio irraggiungibile.

Per il popolo del tutto e subito, per chi è abituato a infliggersi privazioni o a cadere nell'eccesso incontrollato, la moderazione può sembrare davvero impossibile.

Anche per il Buddha, colui che ha codificato la meditazione, che ne ha fatto uno strumento per osservare la mente e i suoi comportamenti (lo diciamo in modo assolutamente laico) la via di mezzo è stata un punto d'arrivo, non un punto di partenza.

Le tappe di un viaggio 

Per arrivare alla moderazione c'è bisogno di compiere un percorso, per fare pace col cibo e arrivare a una relazione rilassata con esso, è necessario attraversare diverse fasi.

 

Fase 1: confini 

Per chi fa della sregolatezza il problema centrale di un vivere in sofferenza, è utile stabilire dei confini praticabili e darsi da fare per rispettarli.

Per poterci riuscire, i confini che ci si danno devono rispondere a due caratteristiche principali: 

  • devono essere consapevoli (e condivise)
  • possibilmente non trasgredibili (per come riusciamo, sempre con gentilezza). 

In altre parole devono essere morbidi, per non viverli come un'imposizione dolorosa, e saldi al tempo stesso, per non darsi la possibilità di derogare.

Qual è, quindi, la differenza rispetto ad un normale piano alimentare, se si devono comunque seguire delle regole?

Una, fondamentale: non si tratta di regole restrittive e non si applicano per un periodo limitato di tempo allo scopo di perdere peso.

Si assume la consapevolezza di dover re-imparare a mangiare. 

Per farlo, visto che si è in difficoltà, c'è bisogno di ritrovare, appunto, un ordine. Ma con gentilezza e per scelta. Questa è la differenza. Nessuno ci obbliga, tantomeno noi stessi. La “rinuncia” a ciò che non è salutare non è restrizione ma strumento di benessere, risorsa di cura.

 

Fase 2: perseveranza 

Per raggiungere la moderazione, ossia la capacità di non iper-alimentarsi per sostenere la propria fragilità emotiva, è importante la continuità. 

Chi ha un problema di alimentazione incontrollata non può regolarsi col cibo come chi non ce l'ha. In poche parole, chi riconosce di essere un mangiatore compulsivo non può pensare di scegliere di mangiare quel che gli va quando gli va. Ci abbiamo  provato ed è stato un disastro. Non è vero?

Le regole consapevoli che scegliamo di seguire sono la mappa che ci consente di non perderci nel caos alimentare. Se non le seguiamo, sceglieremo sempre ciò che è peggio per noi, perché sceglieremo ciò che "cura" il nostro vuoto emotivo invece di scegliere ciò che è giusto per noi e ci fa bene.

Pensiamo ad un tossicodipendente in recupero che deve assumere delle sostanze stupefacenti, ad esempio, come cura per il dolore. Se non lo facesse sotto controllo medico, non appena emotivamente più instabile, tornerebbe ad usarle come via di fuga. Esattamente come faceva prima.

Un mangiatore compulsivo è un dipendente a tutti gli effetti. Dipende dall'effetto che alcuni cibi hanno sul suo cervello. Ed ha la sfortuna di dover avere a che fare col cibo minimo 3 volte al giorno.
Senza dei confini consapevoli, o una mappa, è destinato a perdersi.

Il mangiatore compulsivo non può astenersi dal mangiare, ma può astenersi da alcuni specifici cibi - quelli che più di altri alimentano la sua ossessione e la sua compulsione (è facile scoprire quali siano) e soprattutto astenersi da alcune modalità di assunzione dei cibi.
Questa è la sua prima risorsa per la cura.

 

Fase 3: pacificazione

 Dopo aver stabilizzato per un lungo periodo di tempo il proprio rapporto col cibo (ci vorranno almeno un paio d'anni di pazienza), e  dopo aver acquisito delle nuove modalità di comportamento, si potrà infine lavorare sul pacificarsi col cibo e sulla moderazione.

In questa fase avremo già sperimentato la qualità dell'alimentarsi consapevolmente.

Il cibo non sarà più un nemico e ciò che nel periodo iniziale avremo dovuto apprendere con difficoltà e qualche rigidità (purtroppo questo è inevitabile quando si costruisce il nuovo sul vecchio), diventerà il nostro nuovo stile di vita.

Riconquisteremo la libertà dal cibo in eccesso e, senza mai smettere di praticare la consapevolezza, potremo finalmente vedere il cibo solo per quel che  è: un piacere moderato, oltre che una necessità per la sopravvivenza.

Ma non prima di aver attraversato, con fiduciapazienza perseveranza ognuna delle 3 fasi.

 

Morbidezza attraverso l’autodisciplina

 

Per chi mangia in eccesso, la morbidezza è fondamentale, ma non può esserci morbidezza senza aver prima appreso la capacità dell’autodisciplina.

Come è avvenuto per il Buddha, il percorso di liberazione dalla sofferenza passa da un addestramento che prevede prima  la rinuncia all'attaccamento (in questo caso al ricorrere al cibo in eccesso), sempre utilizzando la gentilezza, e poi il raggiungimento di un equilibrio naturale che, per difficoltà di vario genere, prima non si conosceva.

 

La moderazione è un doppio piacere

Per chi viene da una storia di eccesso, la moderazione è un doppio piacere.

È un non rinunciare al piacere del buon cibo, senza esserne schiavi.

Per arrivare a questa libertà, paradossalmente, è fondamentale imparare a rinunciarci.

Come fanno i monaci buddhisti della tradizione theravada, che mangiano solo quello che la loro ciotola può contenere, e solo il cibo che gli viene offerto, niente di più. Trovando proprio nella moderazione la ragione dell'equilibrio. E assaporando ogni boccone di cibo come un regalo.

Non c'è niente di più bello, per chi è un mangiatore compulsivo, di scoprire, un giorno, senza però fare di questo un obiettivo, di potersi sedere a tavola e assaporare una porzione moderata di un cibo sano e soddisfacente senza più paura. 

È come rinascere. Ed è possibile.