Mindful eating: mangiare con i cinque sensi
Jan 07, 2020Tra i cinque sensi, quello più legato al cibo è il gusto, attivo nella lingua. Ma sappiamo bene che nel mangiare entrano in azione anche gli altri sensi: l’olfatto (con il naso), la vista (con gli occhi), il tatto (con le mani).
Anche l’udito è importante: ad esempio, “a tavola” è spesso il richiamo che ci fa sorgere l’acquolina in bocca, perfino il tintinnare di piatti e bicchieri può indurre una certa frenesia.
Rendere consapevole l’esperienza sensoriale
L’esperienza ci insegna dunque che il mangiare – come ogni attività – è inserito nel flusso vitale dei sensi, nel quale si compongono diversi elementi tra loro inseparabilmente interconnessi.
Ma possiamo convenire sul fatto che, come ci insegna la meditazione di consapevolezza, che proviene dalla filosofia buddhista, esiste anche un sesto sesto, la mente: il senso che coordina e trasforma gli input che arrivano da tutti gli altri, li associa a vissuti e pensieri e li dirige verso le finalità del vivere.
(Su questo argomento leggi anche: Non capisco quando ho fame: raggiungere la consapevolezza.)
Il nostro “sesto senso” può essere la mente
Lo stesso insegnamento ci rimanda all’idea di una co-esistenza (co-creazione) tra organo e oggetto in ognuno dei sensi. Nel vedere, ad esempio, l’occhio non esiste senza la cosa vista e viceversa. Anche la mente esiste solo in quanto è abitata da sensazioni, percezioni, pensieri. E questi non possono emergere se non c’è una mente che sente, percepisce e pensa.
L’approccio Mindfulness viene dal pensiero buddhista
Quello buddhista, da cui l’approccio mindfulness deriva, è un modo di intendere la realtà estremo e paradossale, ma anche – se cerchiamo di metterlo un po’ a fuoco – molto realistico.
Le sei “coscienze sensoriali”, che le nostre percezioni profonde attivano funzionano come una “rete” neurale (o neuronale) con tanti diversi nodi interconnessi tra loro, soggetti a accendersi e spegnersi in ogni istante a seconda delle informazioni che ricevono.
I sensi sono il nostro software?
Le elaborazioni sensoriali funzionano così – bisogna aggiungere – nel bene e nel male. Per noi umani infatti, il l’attività dei sensi è lungi dall’essere come quella di un efficientissimo computer.
Il funzionamento dei sensi, inclusa la mente, dipende da molte e diverse condizioni tra loro intrecciate e confuse, nelle quali convergono simultaneamente gli stati mentali e le emozioni del momento presente, i sedimenti delle esperienze passate e, per usare un’altra espressione buddhista, l’accumulo di molteplici fattori “salutari” e “non salutari”.
Quali sono i “fattori salutari”?
Sono “non salutari”, ad esempio, le spinte sensoriali che ci muovono verso un rapporto disfunzionale con il cibo. Un semplice pacchetto di patatine può apparirci come un bene prezioso del quale non ci si può privare.
La brama di divorare quel particolare “oggetto” può far crescere a dismisura il senso “gusto” e trascinare anche gli altri, compreso l’udito (coinvolto nello scricchiolio del pacchetto) e compresa anche la coscienza mentale (impotente a correggere gli stimoli che provengono da quell’oggetto).
Migliorare le risposte agli stimoli sensoriali
La volontà di mangiare quanto è necessario e il farlo consapevolmente può partire solo da un approfondimento graduale, che ognuno deve fare da sé (se necessario con un po’ di aiuto esterno), rispetto alla complessa interazione tra i sensi.
Consapevolezza applicata
Tale approfondimento ha poche possibilità di dare risultati utili se si mantiene astratto, legato a “ragionamenti”, magari conditi di moralismi e tecnicismi (le tabelle dietetiche). E se si mantiene separato dal resto della vita, non aperto a percepire il corpo, la mente e il comportamento come guidati dalla sensorialità.
La via della pratica meditativa
Più plausibile è l’affidarsi alla meditazione, che lavora dall’interno, a partire dai sensi stessi, ossia dalla domanda più tipica della meditazione: “cosa sento?”.
Una domanda con la quale non si vuole aprire un inutile dialogo interiore con il tiranno moralista (o il critico interiore) che si contrappone alla scatenamento dei sensi rispetto al cibo. (Su questo argomento leggi anche: Perché la mindfulness può farti dimagrire?).
Riconoscere cosa si sente davvero
“Cosa sento?” è invece la domanda rivolta ai sensi stessi. La domanda che ci introduce al “sentire i sensi”, ascoltando gli effetti che provocano nelle diverse parti del corpo (la pancia, la lingua, e molto altro), nelle manifestazioni mentali (l’ansia, la smania, la colpa, e molto altro), nel comportamento (evitare, nascondere, e molto altro).
Il Mindful eating nutre il dialogo tra il corpo, la mente e la consapevolezza, che fa da tramite e che armonizza i dati provenienti dalla coscienza sensoriale. (Su questo argomento leggi anche Ascoltarsi durante i pasti mette al riparo dalla fame emotiva)
Mangiare consapevolmente vuol dire anche - e forse soprattutto - smascherare quelle false verità e quelle abitudini dannose che provengono dai nostri automatismi.
Allenarsi ad un ascolto più sottile
L’ascolto a cui ci riferiamo è un ascolto non superficiale, soprattutto in quanto, sotto l’onda dei sensi, la mente funziona più che mai in modo intermittente e spesso è occupata dai pensieri prodotti dal tiranno moralista (o severo critico interiore).
È invece un ascolto utile e benefico, che può tenere impegnato il corpo-mente in un contatto “sospensivo” con i sensi.
L’obiettivo è la conoscenza profonda di sé stessi
L’impegno non è più del tipo “devo cambiare” ma “devo ascoltare davvero”: cogliere i tanti aspetti della sensorialità legata al cibo che conosco poco o non conosco. “Ho molto da imparare” su questi cinque, o sei, sensi.
C’entra tutto ciò con il sapore del cibo.. o con il disgusto del cibo? Con il sentire di non poterne fare a meno.
O con il voler riuscire a controllarlo? ... sì e molto, soprattutto quando chiamiamo in nostro aiuto la meditazione, che ci aiuta a sospendere la presa diretta sull’agire e ci guida a conoscere in profondità.
Dandoci modo di guardare in modo più oggettivo e comprendere meglio come funzionano la nostra mente e la nostra coscienza riguardo alla relazione con noi stessi e con il cibo emotivo.
(Su questo argomento leggi anche: Diventare spettatori della propria fame emotiva)