Mangi per sentirti meglio?
Dec 21, 2020Chi riconosce se stesso nella tipologia del mangiatore emotivo ha già compiuto un primo passo nel processo di consapevolezza.
Mangiare emotivamente vuol dire infatti provare a contrastare (o evitare) i disagi e i malesseri della vita utilizzando il piacere del cibo.
Il cibo ti dà piacere o sofferenza?
In realtà il piacere del cibo emotivo è un piacere effimero, che quasi subito si trasforma in un ulteriore disagio, in perdita di autostima, in senso di colpa, in disprezzo di sé. Lo sappiamo bene.
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Quando usiamo il cibo emotivo per sentirci meglio in verità stiamo soggiacendo a un inganno della mente.
L’abitudine a consumare cibo “consolatorio” si deve a tante concause che agiscono insieme in noi, come consuetudini familiari, condizionamenti ambientali, usanze culturali, memorie emotive o sensoriali, ma soprattutto a una equazione illusoria: che il piacere del cibo possa sostituirsi alla spiacevolezza di esperienze emotive difficili e che possa sostenerci nell’attraversarle.
Un piacere effimero
Il piacere che ci dà il cibo emotivo è invece effimero e non duraturo. Lo è, a onor del vero, anche l’esperienza spiacevole che vorremmo “coprire” con il piacere del cibo, ma la nostra mente ci inganna anche su questo: ci fa credere cioè che la spiacevolezza che stiamo provando non finirà mai e che tanto vale concedersi una coccola sotto forma di bocconcino prelibato, tanto siamo nati per soffrire…
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Diventare consapevoli aiuta a disattivare l’automatismo
Far affiorare alla consapevolezza grazie alla pratica meditativa (mindfulness) questo automatismo non funzionale ci consente di diventare abili nel disattivarlo.
È solo l'inizio, naturalmente, non basta “saperlo” per risolvere il problema, ma fare una giusta “diagnosi” è l’inizio della “cura”, dà origine cioè al processo di guarigione.
In cosa consiste la “cura”?
Una volta identificata la causa della sofferenza, che risiede nell’aver smascherato l'illusorietà dell’equazione cibo consolatorio = reale benessere, bisogna assumere la “giusta medicina”.
Astenerci dall’assumere cibo emotivo è da dove possiamo cominciare.
Già, ma come riuscirci? Dal momento che abbiamo già collezionato numerosi “fallimenti” in questa direzione…
Sostenere la frustrazione della rinuncia
La partita si gioca nell’allenarsi a sostenere la rinuncia al cibo non necessario nonostante il richiamo che esso esercita su di noi.
Farlo non implica il resistere a oltranza, ma il suo contrario: il lasciar passare il disagio ancorandosi alla consapevolezza della sua transitorietà.
La transitorietà di ogni esperienza è il nostro principale alleato
Riportare costantemente alla consapevolezza dell’esperienza vissuta (ossia mentre la si sta vivendo) l’innegabile verità della transitorietà di ogni fenomeno, che si sperimenta grazie al consolidarsi della consuetudine alla pratica meditativa, rappresenta un aiuto fondamentale nell’attraversare sia l’esperienza spiacevole di rinunciare al piacere immediato del cibo, sia a elaborare ciò che quel piacere effimero sta coprendo.
(Su questo argomento leggi anche: Perché la mindfulness può farti dimagrire?)
Possiamo osservare molto efficacemente questo mentre la relazione col cibo è in atto, durante i pasti per esempio.
Sia quando sei da sola/o quando sei in compagnia. Con semplicità, semplicemente più mettendo attenzione e presenza in ciò che sta accadendo in te. (Su questo argomento leggi anche: Come riuscire a controllarsi durante i pasti).
Un antidoto naturale
Richiamare alla mente momento per momento la verità della transitorietà (o impermanenza) di ogni fenomeno, in modo concreto, reale, esperienziale può consentirci di affrontare qualsiasi esperienza, sensazione o emozione spiacevole.
Il “vaccino” alla sofferenza
La consapevolezza è il nostro più efficace vaccino contro la sofferenza. Ci consente cioè di rimuovere l’illusione che essa duri per sempre e soprattutto che sia assoluta.
Ciò che possiamo invece constatare grazie all’applicazione costante della pratica di consapevolezza all’esperienza vissuta (proprio mentre la stiamo attraversando!) è che:
- Prima o poi finirà
- Che io non sono ciò che sto provando.
Questi due elementi fondamentali di consapevolezza possono consentirci di ancorarci alla realtà dell’esperienza senza essere condizionati e sequestrati dalla reattività o dall’attaccamento e dall’avversione che la mente produce rispetto all’esperienza in sé.
È tutto qui?
Sì. E questa è la buona notizia.
La cattiva qual è?
Disinnescare l’automatismo
Che anche se questo processo di consapevolezza è semplice, non è facile applicarlo. Soprattutto perché il potere che esercitano su di noi le abitudini consolidate e gli automatismi in risposta agli stimoli che riceviamo sono molto radicati in noi.
Coltivare con costanza la pratica della consapevolezza nel riconoscere e quindi nel rimuovere con decisione questi automatismi e queste abitudini che causano la maggior parte della nostra sofferenza nella relazione con il cibo e con noi stessi può essere la via d’uscita.
Ed è semplice e difficile al tempo stesso.
Per riuscire farlo è necessario essere costanti nell’allenamento.
Il Percorso di Breaters ti mette a disposizione gli strumenti per aiutarti a riuscirci.