Come vincere le abbuffate con la gentilezza
Dec 07, 2021Cos’è che ci fa abbuffare? Cosa accende quel desiderio irresistibile di placare qualcosa, quasi una forza oscura, che si impossessa di noi e ci chiede cibo finché non ci calmiamo?
Perché non riusciamo a fermarci anche se sappiamo benissimo che quel desiderio di cibo non ha nulla a che vedere con il bisogno di nutrirci, per lo meno non con quello di nutrirci di cibo?
Cosa cerchiamo di placare, se è chiaro che ciò che determina le nostre abbuffate non è vera fame fisica, anche se sembra proprio così? È davvero possibile smettere di abbuffarsi o è qualcosa che dovremo portarci appresso come qualcosa di vergognoso e infamante per tutta la vita?
Proviamo a fare un po’ di chiarezza
Ci troviamo di fronte a una foresta di domande, non è così? Proprio quelle che impegnano la mente, giorno dopo giorno, di chi, magari da sempre, si sente in lotta con la fame emotiva (leggi anche Emotional eating: in cosa consiste davvero?) e, nonostante i numerosissimi tentativi (interpretati come fallimenti), non ha ancora trovato il modo di dare un’altra risposta all’impulso di “addormentare” col cibo qualcosa che ruggisce dentro di sé e che non riesce bene neppure a identificare, anche se è qualcosa che, in molti casi, conosce da sempre…
Intanto, cos’è un’abbuffata?
Con il termine “abbuffata”, dal punto di vista tecnico scientifico, si intende l’ingestione di una quantità di cibo superiore rispetto a quella consumata dalla maggior parte delle persone nello stesso lasso di tempo e in circostanze simili, caratterizzata dalla sensazione di perdita di controllo.
Da ex mangiatore compulsivo posso dire che quest’ultima sensazione, cioè quella della perdita di controllo rispetto al cibo, è una dei motori principali delle abbuffate.
Leggi anche: Quando abbuffarsi diventa il sintomo di un disturbo alimentare?
Attenti alle trappole della mente, però!
Ognuno di noi definisce la propria abbuffata, nel senso che ci sono abbuffate che sono più oggettive ed abbuffate che sono rese tali dai nostri schemi mentali, magari eccessivamente restrittivi.
Nel caso di una persona affetta da anoressia, per esempio, la quantità di cibo effettivamente consumata sarebbe molto probabilmente ingigantita a dismisura dal terrore di acquisire peso. Qualcosa di molto simile accadrebbe anche alle persone che esercitano un grande controllo sul cibo e sul peso, o sulle qualità o le quantità dei cibi.
Potremmo dire quindi che, nella nostra mente, le abbuffate non sono sempre reali, spesso sono addirittura immaginarie!
Anche mangiare troppo non avviene sempre nello stesso modo
Perfino quando una persona mangia effettivamente in eccesso, il percepito di questa azione può essere, invece, soggettivo. Cioè posso mangiare in eccesso per abitudine e non percepirlo come doloroso, oppure posso abbuffarmi in modo reattivo, magari ingoiando, assieme al cibo, la sofferenza di non essere capace di mettere uno stop a quella azione che mi sembra fuori del mio controllo.
Come riconosco un’abbuffata?
Ecco alcuni “sintomi” che possono aiutarci a riconoscere un’abbuffata:
- Mangio di nascosto oppure in solitudine
- Mangio velocemente, con voracità, come per nascondere le prove del “misfatto”
- Mangio grandi quantità di quei cibi che di solito mi proibisco
- Mangio in piedi, vicino alla dispensa o al frigorifero o in generale essendo mosso dal desiderio di fare in fretta
- Mangio il cibo pronto senza toglierlo dal contenitore (i fagioli dalla scatola, il gelato dalla vaschetta)
- Mangio cibi freddi, ancora surgelati, avanzi dal sapore non proprio invitante
Un’abbuffata è sempre il sintomo di un disturbo del comportamento alimentare?
Bisogna stare attenti al fare auto diagnosi, perché si rischia di ingabbiarsi in definizioni frettolose o addirittura dannose. Soprattutto è bene non fare da sé affidandosi ad internet, queste sono questioni delicate che vanno valutate con cura e attenzione.
In generale, non è detto che se qualche volta mangio troppo io abbia un disordine del comportamento alimentare.
Cos’è che fa la differenza?
La differenza la fa la frequenza con cui si manifestano questi episodi e soprattutto la percezione del sentirci fuori controllo.
(Leggi anche: I comportamenti impulsivi sono scelte consapevoli?)
Se queste due condizioni si verificano entrambe, forse sarebbe meglio rivolgerci ad uno specialista qualificato. Per esempio ad un centro che si occupa proprio dei Disturbi del comportamento alimentare. Ce ne sono molti, dislocati nell’intero territorio nazionale, pubblici o privati, e sono i luoghi dove possiamo ricevere cure e informazioni professionali attendibili.
Quali disordini del comportamento alimentare sono compatibili con la “modalità abbuffata”?
Il più comune è il cosiddetto binge eating disorder, in italiano sindrome da alimentazione incontrollata. L’altro è la bulimia, che si distingue dal precedente per l’attuazione, in aggiunta all’ingestione di cibo in eccesso, di comportamenti compensativi, come per esempio il vomitare o l’assumere lassativi o diuretici, o l’iper attività fisica per consumare le calorie introdotte durante l'abbuffata.
Leggi anche: Riconoscere i sintomi di un disturbo da alimentazione Incontrollata)
Ecco le cause principali delle abbuffate compulsive
Anche in questo caso, ci affidiamo ad alcuni esempi esplicativi:
- La percezione dell'incapacità conseguente al desiderio di “gestire” (è impossibile) sensazioni ritenute negative come la tristezza, la rabbia, l’ansia, la frustrazione, l’insoddisfazione, il senso di inadeguatezza, etc;
- Avvertire un senso di vuoto o di solitudine e sentirsi minacciate/i da questa condizione, sentendo la spinta a “riempire quel vuoto”
- Essere in conflitto con il proprio peso ed il proprio aspetto fisico
- Sentire la necessità di seguire costantemente una dieta di tipo restrittivo, o proibirsi determinati cibi
- Aver infranto una propria proibizione o una regola del proprio schema alimentare, o aver cominciato a mangiare un cibo “proibito” di quelli che secondo noi innescano l’abbuffata
- Percepirsi come incapaci o inadeguati a sostenere un impegno o una pressione del proprio vissuto nel momento presente
Si sono naturalmente molti altri eventi trigger (innesco), delle nostre abbuffate, che dipendono più direttamente dalle nostre abitudini, dalla nostra storia personale, dalle molteplici narrazioni che si sono stratificate nel tempo a proposito di questa relazione difficile che collega il nostro mondo emotivo con il cibo consolatorio.
Come posso smettere di abbuffarmi?
C’è uno strumento ultra efficace per smettere di sentirsi vittima di quella forza oscura che abita dentro di noi e che ci “obbliga” ad abbuffarci ed è la consapevolezza profonda (o mindfulness).
La Mindfulness consiste appunto nell’allenarsi a creare uno stato di presenza nel quale trovare uno spazio per riconoscere e poi disattivare non l’impulso della fame emotiva, ma la risposta che siamo soliti dare a quell’impulso.
La Mindfulness, praticata con costanza e per un lasso di tempo congruo, può consentirci di disconnettere quell’automatismo e quell’equazione che si traduce in emozione negativa o difficile da gestire = cibo.
Il potere della consapevolezza
Grazie alla consapevolezza profonda potremo cioè diventare padroni di noi stessi al punto da dire: anche se ciò che sto provando in questo momento mi fa soffrire o mi crea disagio o frustrazione, posso scegliere di non compensare questo disagio con l’assumere cibo non necessario, che poi genererebbe in me ulteriore sofferenza.
Questo approccio mentale ci consente inoltre di uscire dalla dinamica della dieta restrittiva, del cibo proibito, dell’iperattività fisica, del digiuno compensativo, e ci dà la possibilità di sperimentare quell’autonomia e quella libertà che forse un po’ ci spaventano ma che ci restituiscono quella dignità personale che i vari tentativi forzosi di correggere i nostri difetti alimentari hanno probabilmente offuscato o appannato.
Leggi anche: Perché si parla tanto di consapevolezza?
I 5 punti cardine di un approccio basato sulla consapevolezza profonda per smettere di abbuffarsi
Ecco cosa può offrirti un approccio a base mindfulness per uscire dall’abitudine di rispondere alle pressioni emotive abbuffandoti:
- Maggiore capacità di riconoscere gli inneschi o i trigger che attivano l’impulso
- Conoscenza più profonda delle proprie emozioni
- Gentilezza nei confronti delle proprie paure o fragilità
- Capacità di arrivare ad auto regolarsi
- Smettere di porsi dei divieti e acquisire una mentalità costruttiva
Di seguito approfondiamo questi punti uno per volta.
1) Maggiore capacità di riconoscere gli inneschi o trigger
Molto spesso arriviamo ad abbuffarci con il “pilota automatico” inserito, ossia non riusciamo a riconoscere i segnali di un’abbuffata in arrivo se non quando siamo già nel mezzo della “tempesta”. La mindfulness ti fornisce gli strumenti per essere più efficace nel riconoscere che l'impulso sta nascendo abilitandoti a cogliere i primi sintomi in maniera più sottile. Il resto, lo fa, come dicevano i vecchi medici di una volta, la prevenzione. Prevenire è meglio che curare, si sa…
2) Conoscenza più profonda delle proprie emozioni
A proposito di prevenzione, la consapevolezza profonda ti aiuterà a risolvere il vero “problema” inquadrandolo nel modo giusto: il punto non è mai il desiderio di cibo, ma cosa nasconde davvero quel desiderio di cibo. In altre parole, se imparo a riconoscere qual è quel disagio che sto cercando di evitare, potrò apprendere come rassicurarmi in altro modo anziché utilizzare il cibo emotivo per farlo.
3) Gentilezza nei confronti delle proprie paure o fragilità
Una volta individuata l’emozione o lo stato d’animo difficile da digerire, il passo successivo sarà come riuscire ad affrontarla in modo diverso da come facciamo di solito. Attraverso il ricorso al cibo compensatorio, infatti, noi cerchiamo di soffocare o ignorare qualcosa che riteniamo difficile da gestire e di cui vorremmo liberarci. È possibile invece integrare le nostre emozioni “negative” ed avvolgerle di gentilezza in modo da renderle inoffensive. Ci si può riuscire con un semplice cambio di visuale, per ottenere il quale c’è bisogno di faticare un po’ e che può essere sintetizzato (ma non banalizzato) nell’imparare a volersi bene. Uno degli elementi fondanti dell’approccio mindfulness è proprio apprendere le “tecniche” per coltivare sistematicamente la compassione di sé (self compassion).
4) Capacità di arrivare ad auto regolarsi
Una volta che si è smesso di giudicarsi o di denigrasi per la propria incapacità e si è messo a fuoco il problema nella giusta prospettiva, ovvero rafforzando la propria capacità di focalizzazione interiore e di auto determinazione, ed uscendo dalla logica di deprivazione e di divieto, sarà molto più semplice darsi la possibilità di sperimentare con successo l’autoregolazione nei confronti del cibo. Non dimentichiamoci che siamo già capaci di autoregolarci in moltissimi ambiti della nostra vita, non è quindi una facoltà che ci è ignota o di cui non abbiamo già esperienza...
5) Smettere di porsi dei divieti e acquisire una mentalità costruttiva
Un altro dei doni di quella chiara visione che si acquisisce grazie all’approccio mindfulness, corroborato dal ricorso ad una maggiore compassione di sé, è l’uscire da una mentalità che attribuisce costantemente ai nostri atti nella relazione col cibo l’etichetta successo/fallimento.
Smettere di abbuffarsi è un processo di lenta acquisizione, che richiede tempo, pazienza e l’utilizzo dei giusti strumenti. Non è qualcosa di magico o di miracolistico, ma qualcosa che può essere costruito giorno per giorno, anche grazie agli “errori” o i passaggi a vuoto integrati nella consapevolezza.
La svolta della gentilezza
Ricordiamoci sempre che stiamo provando a modificare dinamiche e abitudini molto radicate che racchiudono in sé valenze affettive, emotive, culturali, e che sono legate alle nostre memorie ed esperienze anche più profonde o remote.
Ci vuole pazienza!
Le abbuffate probabilmente non smetteranno di colpo come ci aspettiamo, ma potranno diradarsi fino a scomparire se impariamo che, soprattutto, noi siamo ben di più o ben altro che persone che si abbuffano, e che quel comportamento è stato adattivo, cioè utile, in qualche momento della nostra vita in cui non avevamo veramente gli strumenti per elaborare certi eventi senza ricorrere al conforto del cibo.
Il cibo “alleato”
Possiamo smettere di vedere il cibo come nostro nemico. Questo ci aiuterà ad attenuare quel conflitto interiore che crea disagio in noi, per esempio, quando ci alziamo ogni mattina della nostra vita dicendo: “da oggi sto a dieta”.
E se lo trasformassimo, invece, in un “da oggi mi prendo cura di me ascoltando i miei veri bisogni”?